H. MARCUSE

EROS E CIVILTA'

Einaudi Torino 1968

Se nel secolo scorso c'è stato un autore che ha avuto il coraggio di riproporre l'utopia della liberazione e della felicità universale come progetto culturale e politico, questo autore è senza dubbio Marcuse. Eros e Civiltà, il libro in cui tale progetto ha preso corpo, è una rilettura critica della teoria freudiana inerente la natura umana.

La scelta a tutta prima sembra paradossale. Freud è un pensatore sostanzialmente conservatore, che si è sempre posto dalla parte dell'ordine e della civiltà contro i pericoli legati alle pulsioni umane e ha assunto il principio di realtà, vale a dire la rinuncia al piacere illimitato legato alla soddisfazione pulsionale, come indizio di una personalità matura e socialmente integrata. Marcuse tutto questo lo sa bene: "Secondo Freud, la storia dell'uomo è la storia della sua repressione." (p.59) "Il convincimento che una civiltà non repressiva sia impossibile è una pietra angolare della costruzione teorica freudiana." (p.64)

Cionondimeno, egli ritiene che "la concezione dell'uomo che emerge dalla teoria freudiana, è il più irrefutabile atto di accusa della civiltà occidentale" (p. 59), anche se essa "è, al tempo stesso, la difesa più incrollabile di questa civiltà" (p. 59). Posto infatti che il primato del principio di realtà sul principio del piacere è una razionalizzazione intrinseca alla civiltà occidentale "la teoria di Freud contiene anche elementi che invalidano questa razionalizzazione, che scuotono la tradizione predominante nel pensiero occidentale, che contengono perfino accenni al suo contrario. La sua opera è caratterizzata dall'insistenza e dalla mancanza di compromessi nello svelare il contenuto repressivo dei valori supremi e delle supreme conquiste della cultura. E ciò facendo, egli nega l'identità di ragione e repressione sulla quale è costruita l'ideologia della cultura." (p. 64) "Svelando la loro ampiezza e la lor profondità, Freud difende le aspirazioni represse dell'umanità: le richieste di una condizione dove libertà e necessità coincidano. Ogni libertà esistente nel regno della coscienza sviluppata e nel mondo che essa ha creato, è soltanto una libertà derivata, frutto di un compromesso, acquistata con la rinuncia alla piena soddisfazione dei bisogni. E poiché la completa soddisfazione dei bisogni è felicità, la libertà che si trova nella civiltà è, nella sua essenza, l'antagonista della felicità… Oppostamente l'inconscio, lo strato più antico e profondo della personalità psichica, è l'impulso verso una soddisfazione integrale, che è assenza di bisogno e repressione. Come tale, in esso necessità e libertà sono immediatamente identiche." (p. 64-65) Dunque, a livello inconscio "il passato continua a far valere le proprie esigenze verso il futuro: e fa nascere il desiderio di un paradiso ri-creato in base alle conquiste della civiltà." (p. 65)

Freud, dunque, secondo Marcuse, è ideologicamente un conservatore, ma il suo pensiero e le sue intuizioni hanno una valenza intrinsecamente rivoluzionaria. Il conservatorismo freudiano consiste nel prendere costantemente posizione a favore della civiltà, che richiede un certo grado di frustrazione delle pulsioni libidiche e aggressive in nome della convivenza sociale e l'acquisizione, da parte di ogni soggetto, del principio di realtà, vale a dire della rinuncia alla loro soddisfazione illimitata. Nella misura in cui però Freud scopre il radicamento e la persistenza delle pulsioni a livello inconscio, laddove esse mantengono una terrificante potenza, e, nel contempo, l'eccesso di repressione che è proprio della civiltà occidentale e genera un diffuso disagio psicologico, egli assume un cauto ma esplicito atteggiamento critico nei confronti della razionalizzazione.

Marcuse si assume il compito di portare alle estreme conseguenze il conflitto tra natura umana e cultura scoperto da Freud, optando per la natura umana, e riconoscendo nell'Eros una potenzialità liberatoria e rivoluzionaria. Questa scelta, che fonda la necessità di una rivoluzione culturale radicale su di un'aspirazione psicobiologica depositata nello strato più profondo della psiche umana, deve però fare i conti con l'ultima teoria pulsionale elaborata da Freud che contrappone gli istinti di vita (Eros) e l'istinto di morte:

"Nella formulazione definitiva della teoria degli istinti… i due istinti fondamentali sono l'Eros e l'istinto di morte. Ma è molto importante ricordare che, introducendo la nuova concezione, Freud è condotto a ricordare in vari punti la natura comune degli istinti, anteriore alla loro differenziazione. Il fatto saliente e terrificante è la scoperta della tendenza fondamentale regressiva o "conservatrice" di tutta la vita istintuale. Freud non può sottrarsi al sospetto di aver toccato in questo modo un "attributo universale degli istinti e forse della vita organica in generale" finora mai notato, e precisamente "una tendenza inerente alla vita organica a restaurare uno stato di cose precedente, che l'entità vivente è stata costretta ad abbandonare sotto la pressione di forze perturbanti esterne." (p. 70)

Il dualismo degli istinti però, secondo Marcuse, è solo apparente. Se entrambi infatti hanno una natura conservatrice comune e gravitano entrambi verso il Nirvana, ne consegue che "l'istinto di morte è distruttività non fine a se stessa, ma presente solo per liberare da una tensione. La discesa verso la morte è una fuga inconscia dal dolore e dal bisogno. E' un'espressione dell'eterna lotta contro la sofferenza e la repressione." (p. 74)

Questa interpretazione dell'istinto di morte, di sicuro originale, è ben poco rispondente al pensiero e agli scritti di Freud. L'istinto di morte freudiano è inequivocabilmente una denuncia del carattere irreversibilmente asociale e antisociale della natura umana. Negli scritti tardivi esso assume addirittura il significato di un istinto univoco che, solo in conseguenza dell'angoscia di annichilimento, genera la tendenza al legame sociale, vale a dire l'Eros, che è dunque un istinto derivato.

Marcuse stravolge il pensiero freudiano. Il motivo di quest'interpretazione forzata è semplice. Quello che a lui interessa, in ultima analisi, è trovare il modo di fondare l'utopia di una radicale trasformazione dell'uomo e del mondo su di una base psicobiologica. Solo questa base infatti può dare ad essa un carattere di necessità. Per questo aspetto, egli tiene fermo l'aspetto più caduco del pensiero di Marx, quello teleologico, ma, avendo preso atto dell'imborghesimento della classe operaia, deve motivarlo in un altro modo. La teoria di Freud è suggestiva perché comporta l'attribuzione alla natura umana di istinti di vita la cui realizzazione piena può portare alla felicità. Essa però va depurata dell'antitesi tra Eros e istinto di morte. Quest'ultimo infatti, assunto nell'accezione freudiana, si pone come ostacolo permanente sulla via di un'utopia che associa alla felicità individuale la felicità di tutti. Riconducendolo ad una protesta contro la sofferenza e la repressione, esso viene sdrammatizzato e negato. La realizzazione di una vita all'insegna dell'Eros, di una vita dunque liberata dalla repressione e aperta alla felicità, nella misura in cui realizza quella protesta, la azzera.

L'utopia della felicità ha dunque, secondo Marcuse, un fondamento psicobiologico nella rivendicazione intrinseca all'inconscio di una vita incentrata sul principio del piacere. Il conflitto tra il principio del piacere e il principio di realtà, che Freud assume come fondamento del passaggio dallo stato di natura a quello di cultura, e che comporta inesorabilmente la frustrazione del desiderio illimitato, è assunto da Marcuse come un conflitto non naturale bensì storico: "un'organizzazione repressiva degli istinti si trova alla base di tutte le forme storiche del principio della realtà nella società civile. Se egli (Freud) spiega l'organizzazione repressiva degli istinti adducendo l'inconciliabilità esistente fra il principio primario del piacere e il principio della realtà, egli esprime il fatto storico che la civiltà è progredita come dominio organizzato." (p. 79)

La componente storico-sociale specifica intrinseca al principio della realtà freudiano è analizzata da Marcuse in nome di due concetti, fondamentali nell'economia logica del libro: la "repressione addizionale: le restrizioni rese necessarie dal potere sociale, o dominio sociale" (p. 79); il "principio di prestazione: la forma storica prevalente del principio della realtà" (p. 80).

La repressione addizionale "si distingue dalla repressione fondamentale, o di base, cioè dalle "modificazioni" agli istinti strettamente necessarie per il perpetuarsi della razza umana nella civiltà" (p. 79). "Mentre ogni forma di principio della realtà esige comunque un grado e una misura notevole di indispensabile controllo repressivo degli istinti, le istituzioni storiche specifiche del principio della realtà e gli specifici interessi del dominio introducono controlli addizionali al di là e al di sopra di quelli indispensabili all'esistenza di una comunità civile." (p. 81)

La repressione addizionale ha una precisa ragion d'essere: "Durante tutta la storia della civiltà che ci è nota, le restrizioni istintuali imposte dalla penuria sono state intensificate dalle restrizioni imposte dalla distribuzione gerarchica della penuria e del lavoro; gli interessi del dominio imposero repressioni addizionali all'organizzazione degli istinti sotto il principio della realtà. Il principio del piacere fu detronizzato non soltanto perché esso militava contro il progresso della civiltà, ma anche perché militava contro una civiltà il cui progresso perpetua la dominazione e la fatica del lavoro." (p. 83)

Il principio della realtà specifico che ha governato le origini e la crescita della civiltà occidentale è il principio di prestazione sotto il cui "dominio la società si stratifica secondo le prestazioni economiche (in regime di concorrenza) dei suoi membri." (p. 87) "Oggi il lavoro è diventato generale, e generali sono diventate le restrizioni imposte alla libido: le ore di lavoro, che costituiscono la parte maggiore delle ore della vita dell'individuo, sono ore penose, poiché la fatica del lavoro alienato significa assenza di soddisfazione, negazione del principio del piacere. La libido è stata deviata per consentire prestazioni socialmente utili, e l'individuo lavora per se stesso soltanto in quanto lavora per l'apparato, impegnato in attività che in massima parte non coincidono con le sue facoltà ed I suoi desideri." (p. 88) "Sotto la legge del principio di prestazione, corpo e anima vengono ridotti a strumenti di lavoro alienato; come tali possono funzionare soltanto se rinunciano alla libertà di quel soggetto-oggetto libidico che originalmente l'organismo umano è e desidera essere. (p.89)

Alla luce di questi due concetti - la repressione addizionale e il principio di prestazione - Marcuse analizza la dialettica propria della civiltà occidentale. Si tratta di una civiltà infelice e malata perché l'inibizione del principio del piacere inesorabilmente mobilita l'istinto di morte: "Una più forte difesa contro l'aggressività è necessaria; ma per potere essere efficace, la difesa contro un'aggressività più forte dovrebbe rafforzare gli istinti sessuali, poiché soltanto un Eros forte può "legare" efficacemente gli istinti distruttivi. E questo è precisamente ciò che la civiltà sviluppata non è in grado di fare, poiché proprio la sua esistenza stessa dipende da irreggimentamenti e controlli più estesi e più intensi." (p. 117) "la cultura esige una sublimazione continua, e con ciò essa indebolisce l'Eros, il costruttore della cultura. E la desessualizzazione, indebolendo l'Eros, "slega" gli impulsi distruttivi. La civiltà è minacciata in questo modo da una de-fusione degli istinti , nella quale l'istinto di morte lotta per conquistare il dominio sugli istinti di vita. Con la sua origine nella rinuncia, e sviluppandosi sotto rinunce progressive, la civiltà tende all'autodistruzione." (p. 119-120) "La discrepanza tra liberazione potenziale e repressione effettiva è giunta al punto di maturità: essa pervade ogni sfera di vita in tutto il mondo. La razionalità del progresso aumenta l'irrazionalità della sua organizzazione e del suo orientamento." (p. 134)

In questo contesto di civiltà, la condizione della coscienza è totalmente alienata: "La coscienza, che porta sempre meno il peso dell'autonomia, tende a ridursi al compito di regolare il coordinamento dell'individuo con l'insieme. L'efficacia di questo coordinamento è tale che l'infelicità generale è diminuita anziché aumentare… la consapevolezza che l'individuo ha delle repressioni vigenti viene attutita da una restrizione manipolata della sua coscienza. Questo processo altera I contenuti della felicità. Il concetto denota una condizione più-che-privata, più-che-soggettiva; la felicità non sta nel sentimento di soddisfazione, ma in una realtà di libertà e soddisfazione. La vera felicità implica conoscenza; essa è la prerogativa dell'animale razionale. Col declino della coscienza, col controllo dell'informazione, coll'assorbimento delle comunicazioni individuali nelle comunicazioni di massa, la conoscenza viene limitata e somministrata. L'individuo non sa più ciò che avviene realmente; la prepotenza della macchina dell'educazione e dei divertimenti lo fonde con tutti gli altri in uno stato di anestesia nel quale si tende ad escludere ogni idea sospetta. E poiché la conoscenza dell'intera verità porta difficilmente alla felicità, questa anestesia generale rende l'individuo felice." (p. 136-137)

Posta questa diagnosi dello stato della civiltà e dell'individuo all'interno di essa, Marcuse si chiede quali siano le possibili soluzioni di uno stato di cose oggettivamente terribile, per quanto soggettivamente vissuto dai più come normale. Le sue risposte riecheggiano, radicalizzandole, alcune intuizioni di Marx. Questi, pur avendo ipotizzato la possibilità di un lavoro disalienato, vissuto come espressione di una comunità incentrata su di un'attività lavorativa intesa come scambio interpersonale e sociale, ha più volte insistito sul fatto che l'autorealizzazione dell'uomo avviene attraverso l'uso creativo del tempo libero. Egli ha identificato nella produzione della ricchezza il presupposto dell'autorealizzazione, dell'affrancamento dal bisogno e della coltivazione di sé e dei rapporti sociali.

Marcuse viceversa ha una concezione univocamente negativa del lavoro: "Per quanto equa e razionale sia l'organizzazione della produzione materiale, essa non potrà mai rappresentare un regno di civiltà e di soddisfazione; ma potrà rendere disponibile tempo ed energia per il libero gioco delle facoltà umane al di fuori del regno del lavoro alienato. Quanto più completa è l'alienazione del lavoro, tanto maggiore è il potenziale di libertà: l'optimum sarebbe un'automazione totale. E' la sfera al di fuori del lavoro che determina la libertà e l'autorealizzazione, ed è la possibilità di determinare l'esistenza umana in base ai valori di questa sfera che costituisce la negazione del principio di prestazione." (p. 181) "il sistema di lavoro andrebbe riorganizzato con l'intento di risparmiare tempo e spazio per lo sviluppo individuale al di là del mondo del lavoro, inevitabilmente repressivo." (p. 213) "Al di là del principio di prestazione, la sua produttività ed anche i suoi valori culturali perdono la loro validità. La lotta per l'esistenza si svolge su di un terreno nuovo e con obbiettivi nuovi; essa si trasforma nella lotta concertata contro ogni restrizione del libero gioco delle facoltà umane, contro la fatica, la malattia, la morte. Inoltre mentre il dominio del principio di prestazione era accompagnato da un corrispondente controllo della dinamica istintuale, il riorientamento della lotta per l'esistenza porterebbe con sé un cambiamento decisivo di questa dinamica… Esso inciderebbe sulla struttura stessa della psiche, altererebbe l'equilibrio tra Eros e Thanatos, riattiverebbe settori di soddisfazione repressi, e placherebbe la tendenza conservatrice degli istinti." (p. 182)

Ma in nome di cosa si realizzerebbe questa rivoluzione epocale, che chiuderebbe la preistoria dell'umanità caratterizzata dalla penuria, dalla fatica, dall'ingiustizia e dall'alienazione? Le facoltà umane che Marcuse assume come fondamentali per l'autorealizzazione sono la fantasia creativa, il gioco e una modificazione sensoriale che porterebbe finalmente l'uomo a sperimentare eroticamente (cioè piacevolmente) il rapporto con se stesso, col suo corpo, con la sua mente e con il mondo. Egli diventerebbe letteralmente preda del bello e del piacevole, e la sua ansia di piacere infinito risulterebbe appagata.

"La realtà che "perde la sua serietà" è la realtà inumana del bisogno e della necessità ed essa perde la sua serietà quando bisogni e necessità possono soddisfarsi senza lavoro alienato. Allora l'uomo è libero di "giocare" con le sue facoltà e potenzialità e con quelle della natura, e soltanto "giocando" con esse egli è libero. Vive in un mondo nel quale egli ha "libero gioco", e l'ordine di questo mondo è un ordine di bellezza." (p. 207)

"Il processo abbozzato or ora non implica soltanto una liberazione ama anche una trasformazione della libido: dalla sessualità che subisce la supremazia genitale a un'erotizzazione dell'intera personalità. Si tratta più di un'espandersi che di un'esplosione della libido - di un espandersi sui rapporti privati e sulla società, che getta un ponte sul'abisso creati tra questi da un principio repressivo della realtà. Questa trasformazione della libido sarebbe il risultato di una società trasformata che non ostacola più il libero gioco dei bisogni e delle facoltà individuali. In virtù di queste condizioni, il libero sviluppo della libido al di là delle istituzioni del principio di prestazione, differisce essenzialmente dalla liberazione della sessualità costretta entro il dominio di queste istituzioni… Il libero sviluppo della libido trasformerebbe entro istituzioni trasformate, erotizzando zone, tempo e rapporti previamente considerati tabù, minimizzerebbe le manifestazioni della sessualità pura, integrandole in un ordine molto più ampio, che comprende anche l'ordine del lavoro." (p. 219)

Nell'ottica di questa utopia della liberazione dei corpi e delle menti, il valore rivoluzionario del principio del piacere freudiano risulta confermato: "Alla luce di un'idea di una sublimazione non-repressiva, la definizione freudiana dell'Eros che lotta per "formare la sostanza viva in unità sempre maggiori, in modo che la vita possa essere prolungata e portata ad un sviluppo più alto" acquista qui un significato più ricco. L'impulso biologico diventa un impulso culturale." (p.227) In quanto tale, esso ridurrebbe o renderebbe inutile l'aggressività sociale. La razionalità di un mondo erotizzato, un mondo di esseri autorealizzati ha in sé le proprie leggi morali, che rendono insignificante la pressione dell'istinto di morte.

Un commento del saggio di Marcuse non può prescindere dal tenere conto della sua fortuna e dei fraintendimenti cui esso è andato incontro. Assunto dal movimento del '68 come il manifesto di una rivoluzione culturale, sostanzialmente anticapitalistica e antisovietica, esso sembrò per qualche tempo delineare una sorta di terza via incentrata sulla valorizzazione della creatività e di un sano edonismo. Lo slogan più famoso del maggio parigino (La fantasia al potere) era una citazione marcusiana. Ben presto, però, il significato filosofico e utopistico del libro venne accantonato in nome di una lettura banale che ricavava da esso, come strumenti essenziali di una rivoluzione privata, il rifiuto del lavoro e la pratica libera della sessualità. Sarebbe facile, quanto ingiusto, attribuire a Marcuse la responsabilità di avere indotto quell'orientamento emozionale e ideologico claustrofobico - riferito tanto agli impegni lavorativi quanto ai vincoli affettivi - che ha mietuto un numero incalcolabile di "vittime" tra la generazione del '68, votandole ad uno spreco enorme di potenzialità e contagiando alcuni di un ribellismo estremo. Se questo è accaduto, la responsabilità è da ricondurre più alle risposte povere e mediocri, nonché repressive, offerte dal potere alle istanze nuove del movimento che non ad un cattivo maestro. L'esito per molti aspetti fallimentare del '68 ha votato Marcuse alla rimozione culturale.

Tale rimozione è ingiusta. Si può senz'altro contestare il tentativo del pensatore tedesco di recuperare Freud in un'ottica ideologica di sinistra. Se c'è un aspetto potenzialmente rivoluzionario nel pensiero freudiano esso, al di là della "scoperta" dell'inconscio, è da ricondurre all'intuizione che l'economia della mente umana è governata dal peso dinamico prevalente del sociale interiorizzato, vale a dire della funzione superegoica. Ma quest'intuizione, anziché portare Freud a riconoscere l'appartenenza alla natura umana di un bisogno di socialità primario, ha dato luogo paradossalmente all'elaborazione della teoria pulsionale. E' proprio a questa teoria che Marcuse si riconduce identificando in essa la prova che lo stato più profondo della psiche umana veicola, attraverso l'Eros, l'istanza di un piacere infinito e, attraverso l'istinto di morte, la protesta contro la sofferenza e la repressione. L'interpretazione non è solo infedele ai testi freudiani bensì inconsistente sul piano filosofico, neurobiologico e psicologico. L'uomo non è un essere animato da pulsioni bensì da bisogni, vale a dire da spinte motivazionali che hanno un carattere radicalmente umano e poco hanno a che vedere con gli istinti. I bisogni umani radicali sono la libertà, la giustizia, la felicità. Quest'ultimo, la cui realizzazione è imprescindibile dagli altri due, si può ritenere in assoluto il più importante. Marcuse questo lo ha intuito. Sulla base di quest'intuizione, e non della teoria pulsionale freudiana, non poche delle sue riflessioni sono ancora oggi pertinenti.

La repressione addizionale è riconoscibile di fatto in molte persone che hanno uno spiccato senso del dovere. Il principio di prestazione rappresenta di fatto la matrice dell'ideologia perfezionistica, vale a dire di una schiavitù che non viene colta a livello cosciente e porta anzi le persone a ritenersi felici. Il lavoro alienato, che è un dramma sociale, nevrotizza, anestetizza e rende aggressivi. Esso si pone come un ostacolo rilevante sulla via del recupero di una modalità di rapporto con sé, con gli altri e con il mondo incentrata sul piacere. La liberazione dei corpi e delle menti da codici culturali che frustrano le potenzialità individuali è, dunque, un problema ancora attuale. A Marcuse va il merito di averlo denunciato apertamente, riconoscendo le sue matrici nell'organizzazione sociale e identificandone la realizzazione nelle pieghe della soggettività.

Se un appunto può essere rivolto a Marcuse è di essere stato indotto, in polemica con la psicoanalisi culturalista, a ritenere impossibile una liberazione autentica individuale in difetto di una rivoluzione culturale radicale. Per fortuna le cose non stanno così, anche se è vero che, nella misura in cui si affrancano da un'adesione acritica all'ideologia normativa dominante, le persone devono comunque fare i conti con il mondo così com'è.